lunedì 16 novembre 2009

LA FORZA DEI GIOVANI DI PRAGA: LE RIVOLTE CONTRO IL REGIME COMUNISTA DEL 1968 E DEL 1989

Il 17 novembre ricorre il ventennale dalla fine del comunismo in Cecoslovacchia.

E’ il 1948 quando il regime comunista prende potere in questo Paese. Ma, mentre in Ungheria, così come in numerosi altri Stati, vi erano state violente rivolte e insurrezioni a causa dell’ascesa del Comunismo, in Cecoslovacchia troviamo, contrariamente, una collaborazione e un senso di ottimismo presso la popolazione nei confronti del nuovo potere. Ottimismo che con gli anni lascia spazio ad un senso di delusione e malcontento che alimenta le masse, fino al 1968, anno in cui scoppia una vera e propria riforma contro il regime. A guidarla è Alexander Dubcek; le sue proposte non miravano, in realtà, a rovesciare completamente il potere comunista e ad allontanare l’Unione Sovietica dal Paese, ma avevano come scopo il conseguimento di una maggiore libertà politica, di stampa e di espressione. In Cecoslovacchia, cioè, doveva essere permessa la costituzione di nuovi partiti indipendenti e non alleati al Partito Comunista. La stragrande maggioranza della popolazione, tra cui la classe degli operai, sostenne questa giusta causa; il problema sopraggiunse, però, quando l’Unione Sovietica tradusse questi sviluppi riformisti come una vera e propria minaccia alla sicurezza stessa del Comunismo. Fu così che, ben presto, decise di intervenire per sopprimere queste rivolte, che dal 5 gennaio del ’68 si protrassero fino al 20 agosto dello stesso anno, quando, appunto, un corpo di spedizione dell’URSS e dei suoi alleati del patto di Varsavia, ad eccezione della Romania, che si è stimato composto fra i 200.000 e 600.000 soldati e fra 5.000 e 7.000 veicoli corazzati, invase il paese. Anche le dodici divisioni del forte esercito cecoslovacco, obbedienti agli ordini del patto di Varsavia, avevano bloccato la frontiera con la Germania occidentale, per impedire l’arrivo di aiuti dall’occidente. Il 21 agosto, giorno in cui ricorreva la celebrazione del congresso del Partito Comunista Cecoslovacco, i comunisti guidati da Dubcek furono costretti a riunirsi in una fabbrica, dove approvarono tutto il programma riformatore. Quest’azione, in realtà si verifico inutile, in quanto la nuova dirigenza che fu imposta da Mosca per governare il Paese cancellò formalmente le decisioni prese dal congresso. Molte furono le conseguenza di questa repressione: si verificò, innanzitutto, un’ondata di emigrazione immediata verso l’Europa occidentale di circa settantamila persone, che in seguito divennero trecentomila, la maggior parte dei quali cittadini di elevata qualifica professionale. Inoltre, l’amarezza per gli errori compiuti e per l’eccessiva fiducia nei confronti dell’URSS invase gli animi dei comunisti cecoslovacchi. Lo stesso Dubcek ammette: “Quella notte compresi quanto profondo fosse stato il mio sbagli. Le esperienze drastiche dei giorni e dei mesi che seguirono mi fecero capire che avevo a che fare con dei gangster”. Dubcek ed altri esponenti politici vennero sequestrati e portati al Cremlino, dove si diede inizio alle “trattative” per ristabilire la situazione politica nel Paese invaso, naturalmente secondo quelle che erano le condizioni dell’URSS. Nei giorni seguenti, in Cecoslovacchia non vi furono altre sollevazioni popolari, evitate per il rischio di un inutile spargimento di sangue. Per il Paese furono giorni di umiliazione e di delusione, sentimenti che emersero nel gennaio dell’anno successivo, quando alcuni giovani, con l’obiettivo di attirare l’attenzione di tutto il mondo sull’occupazione militare che i sovietici volevano far apparire come volontà popolare, decisero di porre fine alla loro vita, dandosi fuoco dopo essersi cosparsi di benzina, nella principale piazza di Praga, piazza San Venceslao. Il primo ad essere sorteggiato fu Jan Palach, che, stando alle sue parole, ebbe “l’onore” di essere la prima torcia. Con i funerali del giovane studente di filosofia, a cui parteciparono oltre un milione di praghesi, può considerarsi conclusa la lotta contro la Russia sovietica della Cecoslovacchia, che dovrà attendere fino agli anni Novanta per avere la sua indipendenza. E’ chiamata la Rivoluzione di Velluto, quella mossa da gruppi di studenti nel novembre del 1989 a Praga. In migliaia occupavano Piazza San Venceslao e vi tenevano a turno discorsi, comizi volanti e riunioni organizzative. Si parlò di oltre duecentocinquantamila giovani, che esponevano cartelli, striscioni contro il regime comunista sovietico. Per certi aspetti, la rivolta del ’89 richiama quella di circa vent’anni prima: si gridano le stesse parole (“Libertà”, “Viva Havel”, “Viva Dubcek”) e si manifesta contro quelle forze che gettarono il Paese in un senso comune di frustrazione e oppressione. Troviamo, però, alcuni elementi di discrepanza tra i due periodi, che già nel ’89, come testimoniano gli articoli di giornale dell’epoca, crearono molto stupore: la rivolta è stata trasmessa dal primo all’ultimo minuto dalla televisione di Stato; inoltre uno dei momenti più rilevanti è stata la lettura di un messaggio da parte di Alexander Dubcek stesso, che ha mostrato il suo appoggio agli oppositori, sottolineando la necessità di un’uscita di scena della dirigenza comunista. Ciò che realmente ha determinato la fine del Comunismo in Cecoslovacchia non è, però, stata la grande manifestazione di Piazza Venceslao; la vera partita si è giocata nelle fabbriche, presso gli operai. Bisognava stare a vedere a chi questa classe avesse dato il suo appoggio, al regime o alla rivolta dell’intellighenzia contro questo. Gli operai sembravano essere suggestionati dalle parole di Jakes che, con un suo discorso, aveva indirizzato questi ad essere cauti nei confronti delle novità, a rifiutare situazioni che erano da considerare rischiose. Il segno che Havel e gli altri oppositori cominciarono a dubitare che quelle sole manifestazione sarebbero bastate a far crollare il regime comunista nel Paese fu la lettera inviata da questi a George Bush e Mikhail Gorbaciov, dove i sovietici venivano esortati dall’Intellighenzia a condannare l’invasione della Cecoslovacchia di quel lontano agosto del 1968. Infine, il 17 novembre 1898, il comunismo cadde; Alexander Dubcek fu eletto Presidente della Camera mentre Vaclac Havel divenne Presidente della Repubblica cecoslovacca. Finalmente, nel giugno del 1990 si tennero le prime elezioni democratiche dal 1946, che istituirono in Cecoslovacchia il primo governo non comunista dopo oltre 40 anni.


Luigi Tuccillo


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