venerdì 28 maggio 2010

Venerdì 28 maggio 2010

E' da molto che non scrivo in questo blog, circa cinque mesi, da dicembre. Quindi questo è anche il primo intervento del 2010. Che dire...Sono cambiate tante cose nel frattempo. Innanzitutto con la scuola; lo stress è aumentato, raddoppiato, triplicato :) Ma penso sia abbastanza normale dato che tra poco meno di un mese mi aspettano i famosi Esami di Stato! Eheh, sembravano non arrivare mai, eppure il liceo sembra essere passato così velocemente... Sono arrivato alla fine, ci vuole un ultimo sforzo! Tra una settimana finiranno tutti i compiti e le interrogazioni, il liceo può dirsi concluso per sempre. E' arrivata l'ora del cambiamento, della svolta! L'università si avvicina sempre di più, ma ho le idee abbastanza chiare. Mi iscriverò a Lettere Moderne, presso l'università di Perugia. Perchè proprio Perugia? Beh, mi sembra una città abbastanza tranquilla, o meglio più tranquilla rispetto alle grandi metropoli, come Roma o Milano. Naturalmente altre cose e soprattutto altre persone si sono presentate nella mia vita. Alcune solo di passaggio, altre hanno lasciato un ricordo che difficilmente passerà, altre ancora fanno tuttora parte della mia vita, la rendono speciale, mi fanno sentire importante ;) Ho trovato l'amore, forse in questi ultimi mesi spesso ho creduto di aver trovato la persona giusta, ma presto questa "persona giusta" si è dimostrata tutto il contrario, forse, anzi sicuramente, si trattava solo di una cotta. Stupide cotte adolescenziali, o almeno così vengono definite. E ora? Sono innamorato? Me lo chiedo spesso, non vorrei correre troppo con i tempi, chiamando "amore" quello che potrà rivelarsi una dei diversi tentativi di trovare la persona che mi renda felice, veramente felice. Questa persona attualmente c'è. E mi rende tanto felice. Spero possa diventare davvero qualcosa di grande, di importante, più di quanto la consideri adesso. Per il resto...Gli amici. Loro ci sono (ovviamente parlo di quei pochissimi amici di cui mi fido davvero). Ogni tanto, anzi spesso, penso a quando finirà il liceo. Non rivedrò molti di loro. Molte volte diciamo tra di noi "Ci sentiremo ugualmente! Sarà tutto come prima". Ma in realtà quanto ci crediamo? Possiamo solo sperare che le cose vadano per il meglio. =) Vabbè, detto questo chiudo. A presto, un forte abbraccio.

Luigi

sabato 26 dicembre 2009

I SENTIMENTI LEGATI ALLA SERA DA DANTE A QUASIMODO


La sera è uno dei temi più affrontati da sempre da letterati e non. Essa rievoca sentimenti di pace, tranquillità e viene spesso contrapposta alla frenesia del giorno, durante il quale l’uomo è preso da svariati problemi e affanni. Già Dante, in piena età medievale, nel VIII canto del Purgatorio ne parla, definendola “l'ora che volge il disio / ai navicanti e 'ntenerisce il core / lo dì c' han detto ai dolci amici addio”. Per il sommo poeta, la sera è il momento in cui l’uomo volge il proprio pensiero agli affetti, e ne approfitta per riposarsi dalle sue attività, rivolgendo la mente a ciò che gli sta più a cuore; è infatti l’ora in cui chi naviga, ma anche chiunque si trova lontano dalla propria terra e dai propri cari, desidera il ritorno a casa e ciò provoca sentimenti di nostalgia e tristezza. Durante gli ultimi anni del XVIII secolo, durante i quali in Europa si diffonde il pensiero neoclassico, nonché quello, diametralmente opposto, del Romanticismo, la concezione della sera si arricchisce di nuovi significati. Nel sonetto “Alla sera” di Ugo Foscolo, che nella sua vita letteraria subisce influenze neoclassiche e specialmente preromantiche, la sera è presentata come immagine della “fatal quiete” ed è definita “nulla eterno”, con un chiaro riferimento alla morte. Non bisogna, però, concludere affrettatamente che, per Foscolo, la sera rappresenti un elemento negativo della realtà, per il fatto che l’autore l’accosti alla figura della morte. Continuando con la lettura del sonetto, si apprende che questa “sempre scende invocata” e ad essa appartengono le “secrete vie” del cuore dell’autore: la sera è, quindi, in grado di giungere con dolcezza fino alle zone più nascoste del suo animo. Per Foscolo la morte non rappresenta il principio di una nuova vita spirituale, nella quale all’anima spetterà un premio o un castigo eterno. Secondo la visione materialistica della realtà che Foscolo assume, la morte è la conclusione di tutto e, di conseguenza, costituisce per l’uomo la fine dei dolori e delle preoccupazioni. Vi è quindi una vera e propria invocazione della sera, che riesce, oltretutto, a spegnere le passioni che attanagliano l’uomo, quegli istinti guerreschi che dominano il suo animo. E’ con Leopardi, massimo esponente italiano della letteratura del Romanticismo, che la concezione romantica della sera muta ulteriormente. Ne “La sera del dì di festa” ritiene la notte “dolce e chiara ... e senza vento”. E’ il momento della giornata durante il quale l’uomo è solito pensare al passato e, conseguentemente, all‘azione inarrestabile del tempo, che cancella il ricordo delle antiche civiltà: “Or dov’è il suono / Di que’ popoli antichi? Or dov’è il grido / De’ nostri avi famosi, e il grande impero / Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio / Che n’andò per la terra e l’oceano?”. L’essere umano riflette anche sugli effetti della fugacità del tempo nella propria vita. Da qui, anche in Leopardi, la sera porta alla meditazione sulla morte e sul ricordo degli uomini, destinato anch’esso a scomparire. Il tema della fugacità del tempo sarà ripreso anche da un famoso autore del Novecento, appartenente al movimento ermetico, Salvatore Quasimodo, in “Ed è subito sera”. Come egli spiega, ogni essere umano trascorre le sue giornate sulla terra, preso da molteplici impegni e attività, e non si accorge di come il tempo trascorra così velocemente da fare in modo che egli si ritrovi subito alla fine della giornata. In quest’opera è evidente come venga accentuato il pessimismo legato alla concezione della sera introdotto da Leopardi, circa due secoli prima. Innegabile, invece, è la presenza dell’assoluto silenzio e della pace che subentra al calare dell’oscurità. La gran parte degli autori parla della sera come portatrice di calma e di serenità, le quali non inducono alla spensieratezza e all’abbandono, ma al contrario, invogliano l’uomo alla meditazione e al ricordo dei momenti trascorsi. E’ ciò che traspare dai versi de “La mia sera” di Giovanni Pascoli. Ancora una volta, alla descrizione del giorno, tormentato da tempeste e scompigli (“Nel giorno, che lampi! Che scoppi!”) viene contrapposta la caratteristica calma della sera (“Che pace, la sera!”). Essa sopraggiunge per consentire il riposo dai tumulti, dall’ “aspra bufera” propri del giorno. Inoltre, in Pascoli, a differenza di Foscolo e Leopardi, la sera non richiama alla mente l’idea di morte ma, al contrario, rievoca l’infanzia e la fanciullezza dell’autore, come è chiaramente esposto negli ultimi versi della poesia, quando “sul far della sera”, al suono della campana, veniva invitato a dormire dalla madre, e le “voci di tenebra azzurra” gli ricordavano le dolci ninne nanne che gli venivano cantate. Ma la tranquillità e la quiete interessano non solo l’interiorità umana ma anche il paesaggio notturno, che appare come trasformato agli occhi dell’osservatore. Una chiara descrizione di questo è contenuta ne “La sera fiesolana” di Gabriele D’Annunzio. E’ come se i sensi vengano rafforzati: il fruscìo delle foglie, il suono che l’acqua corrente del fiume produce sono chiaramente udibili ed è possibile, inoltre, percepire l’odore del fieno nei campi. “La Luna ... par che innanzi a sé distenda un velo ove il nostro sogno si giace e par che la campagna già si sente da lei sommersa nel notturno gelo”; D’Annunzio descrive come la pioggia primaverile bagni i gelsi, gli olmi, le viti e altre piante, che sembrano giocare con l’aria che li circonda e raggiunga anche il grano non ancora maturo e gli ulivi che “fan di santità pallidi i clivi e sorridenti”, ossia rendono le colline argentee e vivaci. In ultima analisi, la sera si presenta come un elemento che da sempre è stato fonte di vari sentimenti nell’animo umano, dalla paura alla nostalgia, dalla rievocazione della morte al ricordo dei momenti giovanili, dalla pace e serenità all’amore verso i propri cari. Ciò dipende proprio dalle sue particolarità che inducono l’uomo a meditare sulla propria vita e sull’ambiente che lo circonda, nonché a distrarsi dalle vicende che lo coinvolgono durante il giorno, operando, così, una sorta di distacco dalla realtà quotidiana, che lo porta a immergersi totalmente nella meditazione e a ritrovarsi in un mondo incantato e affascinante.


Luigi Tuccillo

lunedì 23 novembre 2009

PICCOLA “INDAGINE” SUI VALORI DI OGGI


Un episodio accaduto in classe mia qualche giorno fa durante l’ora di Religione mi ha indotto ad aprire e ad affrontare un argomento abbastanza delicato, con l’intenzione di chiuderlo definitivamente (non si noti la superbia che traspare da quest’ultima affermazione). Al giorno d’oggi sono tanti i temi di cui si parla spesso e volentieri; non di rado ci si imbatte in una conversazione che comprenda queste espressioni, in misura più o meno maggiore: «Hai saputo chi è stato eliminato dalla Casa?»; «Non aspetto altro che vedere la prima puntata dell’Isola dei Famosi!» ; «Come ti invidio, quanto vorrei avere anch’io quella felpa firmata!», ecc. Ebbene, l’elenco di queste “serissime riflessioni”, che la gran parte della società si pone, sarebbe realmente infinito; per dirla breve, non basterebbe neppure un rotolone Regina per contenerlo. Ma se realmente ognuno di noi si sforzasse un po’ ad attivare quelle potenziali funzioni proprie dei neuroni (ammesso e non concesso che non siano troppo occupati nel trasmettere informazioni sull’ultima acconciatura di Moira Orfei piuttosto che sulla scarpe del nuovo tronista di Uomini&Donne), la domanda sorgerebbe spontanea, forse quasi banale: “Ma nella nostra società conta maggiormente essere o apparire?”. Come risaputo, non sono il primo né l’ultimo (e qui sottolineo il carattere utopistico del mio iniziale proposito) a porsi quest’arduo quesito. Posso parlare, ad esempio, di colei che rimarrà per me la più grande poetessa italiana del Novecento, Alda Merini, che in una puntata dell’ormai famosissimo “Chiambretti Night” ha affrontato quest’argomento, con la capacità che solo i filosofi e i poeti possiedono: quella di compiere una sorta di astrazione dalla realtà, uno straniamento che li pone, come direbbe la buon’anima di Spinoza, “sub specie aeternitatis”, in uno stato che li rende in grado di guardare con obiettività il mondo che pur li circonda, ma del quale non fanno parte. Lungi dal considerarmi fornito di quei requisiti di cui tanto si sono vantati personaggi quali Cicerone o, saltando un bel po’ di secoli e kilometri, Dante o Ariosto, voglio esprimere la mia umile e modesta opinione che, non sbaglio azzardare, sarà certamente condivisa da molti. Come ho scritto inizialmente, animato da quell’impeto quasi megalomane che alcuni chiamano Musa e altri “eroico furore”, i valori su cui si basa oggi la nostra società, e in particolar modo la mia generazione, sono ben altri. Con questo non ho intenzione di fare di tutta l’erba un fascio, anzi coloro (e sono pochissimi) che sopravvivono a questa spietata mattanza compiuta da un oscurantismo mentale, meglio noto come ignoranza (intendendo con questo termine l’accezione più negativa che esso possa assumere), ne escono con maggiore dignità, più di quanta gli stessi possano pensare di averne. Diametralmente opposto è l’atteggiamento di alcune vere e proprie nullità, che, a differenza dei primi, ridono sulle proprie demenze mentali, quasi vantandosi della loro mancanza di valori, quali lealtà o compassione. E così, mentre scrivo, il professore di letteratura inglese descrive la figura del letterato romantico Byron e un po’ identifico questi “grand’uomini” con il famoso personaggio byroniano “Don Juan”, il quale altro non faceva che esaltare le sue “sexual prowess” (prodezze sessuali), sicuramente – deduco – per attirare l’attenzione verso altri organi, che non siano il cervello. O il cuore. Ebbene, non di rado mi capita di assistere alle conversazioni sopra accennate e non di rado penso “Ma cosa ci troveranno di così’ interessante? Non sarebbe meglio se imparassero qualcosina in più su Sallustio, Seneca ma anche su quella che è la vita reale, al di là di queste baggianate?”. Non ho mai trovato una risposta soddisfacente. La situazione si complica e diviene perfino drammatica se pensiamo che chi andrà a costituire la società del futuro non sarà un giovane Che Guevara o un piccolo Garibaldi ( che di ideali ne avevano eccome!), ma il tipo che incontri ogni mattina a scuola o per strada, che inserisce una bestemmia in ogni frase, per il gusto di essere considerato “figo” o quello che non vede oltre il proprio naso e che fa tutto per trarne personale vantaggio. Dove sono i valori che tanto venivano esaltati da poeti, letterati e storici di un tempo? Il rispetto, la cortesia, l’onestà e ultima ma non per importanza l’amicizia, quella vera, quella con la “a” maiuscola? Chi di noi non se lo chiede, mentre magari guarda l’ultima puntata de “La Fattoria” e gode del litigio di due oche, non riferendomi naturalmente alle povere bestiole? La risposta sta lì. Sono stati del tutto risucchiati da falsi esempi, che a loro volta ne hanno riproposti altri. E si parla, quindi, di jeans all’ultima moda (non li hai? Poveretto!), di acconciature da sballo, vengono proposti modelli da seguire che non sono più gli eroi di una volta, ne ho nominato qualcuno, non è più, cristianamente parlando, il Santo o la Santa o, sopra tutti, il Cristo, ma chi? Il vincitore del Grande Fratello, la nuova e trendyssima corteggiatrice di Uomini&Donne, perfino il ragazzo bestemmiatore citato in precedenza, che a sua volta diventa cattivo esempio per chi, come lui, non avendo una propria personalità, cerca a tutti i costi di rivestirne una, buona o meno che sia. Il motivo? Essere accettato. Essere accettato da questa società, che, a meno che non si prendano i dovuti provvedimenti (una bomba su Cinecittà?), altro non fa che presentare valori ed esempi sbagliati, in un circolo vizioso dal quale è difficile uscire.



Luigi Tuccillo

lunedì 16 novembre 2009

LA FORZA DEI GIOVANI DI PRAGA: LE RIVOLTE CONTRO IL REGIME COMUNISTA DEL 1968 E DEL 1989

Il 17 novembre ricorre il ventennale dalla fine del comunismo in Cecoslovacchia.

E’ il 1948 quando il regime comunista prende potere in questo Paese. Ma, mentre in Ungheria, così come in numerosi altri Stati, vi erano state violente rivolte e insurrezioni a causa dell’ascesa del Comunismo, in Cecoslovacchia troviamo, contrariamente, una collaborazione e un senso di ottimismo presso la popolazione nei confronti del nuovo potere. Ottimismo che con gli anni lascia spazio ad un senso di delusione e malcontento che alimenta le masse, fino al 1968, anno in cui scoppia una vera e propria riforma contro il regime. A guidarla è Alexander Dubcek; le sue proposte non miravano, in realtà, a rovesciare completamente il potere comunista e ad allontanare l’Unione Sovietica dal Paese, ma avevano come scopo il conseguimento di una maggiore libertà politica, di stampa e di espressione. In Cecoslovacchia, cioè, doveva essere permessa la costituzione di nuovi partiti indipendenti e non alleati al Partito Comunista. La stragrande maggioranza della popolazione, tra cui la classe degli operai, sostenne questa giusta causa; il problema sopraggiunse, però, quando l’Unione Sovietica tradusse questi sviluppi riformisti come una vera e propria minaccia alla sicurezza stessa del Comunismo. Fu così che, ben presto, decise di intervenire per sopprimere queste rivolte, che dal 5 gennaio del ’68 si protrassero fino al 20 agosto dello stesso anno, quando, appunto, un corpo di spedizione dell’URSS e dei suoi alleati del patto di Varsavia, ad eccezione della Romania, che si è stimato composto fra i 200.000 e 600.000 soldati e fra 5.000 e 7.000 veicoli corazzati, invase il paese. Anche le dodici divisioni del forte esercito cecoslovacco, obbedienti agli ordini del patto di Varsavia, avevano bloccato la frontiera con la Germania occidentale, per impedire l’arrivo di aiuti dall’occidente. Il 21 agosto, giorno in cui ricorreva la celebrazione del congresso del Partito Comunista Cecoslovacco, i comunisti guidati da Dubcek furono costretti a riunirsi in una fabbrica, dove approvarono tutto il programma riformatore. Quest’azione, in realtà si verifico inutile, in quanto la nuova dirigenza che fu imposta da Mosca per governare il Paese cancellò formalmente le decisioni prese dal congresso. Molte furono le conseguenza di questa repressione: si verificò, innanzitutto, un’ondata di emigrazione immediata verso l’Europa occidentale di circa settantamila persone, che in seguito divennero trecentomila, la maggior parte dei quali cittadini di elevata qualifica professionale. Inoltre, l’amarezza per gli errori compiuti e per l’eccessiva fiducia nei confronti dell’URSS invase gli animi dei comunisti cecoslovacchi. Lo stesso Dubcek ammette: “Quella notte compresi quanto profondo fosse stato il mio sbagli. Le esperienze drastiche dei giorni e dei mesi che seguirono mi fecero capire che avevo a che fare con dei gangster”. Dubcek ed altri esponenti politici vennero sequestrati e portati al Cremlino, dove si diede inizio alle “trattative” per ristabilire la situazione politica nel Paese invaso, naturalmente secondo quelle che erano le condizioni dell’URSS. Nei giorni seguenti, in Cecoslovacchia non vi furono altre sollevazioni popolari, evitate per il rischio di un inutile spargimento di sangue. Per il Paese furono giorni di umiliazione e di delusione, sentimenti che emersero nel gennaio dell’anno successivo, quando alcuni giovani, con l’obiettivo di attirare l’attenzione di tutto il mondo sull’occupazione militare che i sovietici volevano far apparire come volontà popolare, decisero di porre fine alla loro vita, dandosi fuoco dopo essersi cosparsi di benzina, nella principale piazza di Praga, piazza San Venceslao. Il primo ad essere sorteggiato fu Jan Palach, che, stando alle sue parole, ebbe “l’onore” di essere la prima torcia. Con i funerali del giovane studente di filosofia, a cui parteciparono oltre un milione di praghesi, può considerarsi conclusa la lotta contro la Russia sovietica della Cecoslovacchia, che dovrà attendere fino agli anni Novanta per avere la sua indipendenza. E’ chiamata la Rivoluzione di Velluto, quella mossa da gruppi di studenti nel novembre del 1989 a Praga. In migliaia occupavano Piazza San Venceslao e vi tenevano a turno discorsi, comizi volanti e riunioni organizzative. Si parlò di oltre duecentocinquantamila giovani, che esponevano cartelli, striscioni contro il regime comunista sovietico. Per certi aspetti, la rivolta del ’89 richiama quella di circa vent’anni prima: si gridano le stesse parole (“Libertà”, “Viva Havel”, “Viva Dubcek”) e si manifesta contro quelle forze che gettarono il Paese in un senso comune di frustrazione e oppressione. Troviamo, però, alcuni elementi di discrepanza tra i due periodi, che già nel ’89, come testimoniano gli articoli di giornale dell’epoca, crearono molto stupore: la rivolta è stata trasmessa dal primo all’ultimo minuto dalla televisione di Stato; inoltre uno dei momenti più rilevanti è stata la lettura di un messaggio da parte di Alexander Dubcek stesso, che ha mostrato il suo appoggio agli oppositori, sottolineando la necessità di un’uscita di scena della dirigenza comunista. Ciò che realmente ha determinato la fine del Comunismo in Cecoslovacchia non è, però, stata la grande manifestazione di Piazza Venceslao; la vera partita si è giocata nelle fabbriche, presso gli operai. Bisognava stare a vedere a chi questa classe avesse dato il suo appoggio, al regime o alla rivolta dell’intellighenzia contro questo. Gli operai sembravano essere suggestionati dalle parole di Jakes che, con un suo discorso, aveva indirizzato questi ad essere cauti nei confronti delle novità, a rifiutare situazioni che erano da considerare rischiose. Il segno che Havel e gli altri oppositori cominciarono a dubitare che quelle sole manifestazione sarebbero bastate a far crollare il regime comunista nel Paese fu la lettera inviata da questi a George Bush e Mikhail Gorbaciov, dove i sovietici venivano esortati dall’Intellighenzia a condannare l’invasione della Cecoslovacchia di quel lontano agosto del 1968. Infine, il 17 novembre 1898, il comunismo cadde; Alexander Dubcek fu eletto Presidente della Camera mentre Vaclac Havel divenne Presidente della Repubblica cecoslovacca. Finalmente, nel giugno del 1990 si tennero le prime elezioni democratiche dal 1946, che istituirono in Cecoslovacchia il primo governo non comunista dopo oltre 40 anni.


Luigi Tuccillo


mercoledì 11 novembre 2009

15 novembre: Giornata Internazionale in Memoria delle Vittime del Traffico Stradale

Un po’ di numeri

Il crescente interesse nei confronti di una delle cause di morte più rilevanti nella nostra società ha portato le Nazioni Unite a proclamare la terza domenica del mese di novembre di ogni anno come “Giornata Internazionale in Memoria delle Vittime del Traffico Stradale”. In Europa, il numero delle vittime a causa degli incidenti stradali è in continua riduzione; nel 2008 si è registrato un calo dell’8,5% rispetto all’anno precedente. Nonostante questi risultati positivi, il numero resta tuttavia abbastanza elevato: l’Unione Europea si era prefissata come obiettivo per il 2010 l’abbassamento alla metà delle vittime rispetto al 2001, anno record in cui i morti furono ben 54.400, e per raggiungere questo risultato è necessario un calo medio annuo del 7,4%, mentre finora si è registrata una percentuale del 4,4%. L’Italia, tuttavia, risulta essere uno dei Paesi europei più “virtuosi”, in quanto si stima che dal 2001 al 2008 i morti sulle strade siano diminuiti di oltre il 30%. Altre nazioni che hanno riportato importanti miglioramenti sono il Lussemburgo, la Francia e il Portogallo con una riduzione del 47%, quasi la metà delle vittime, seguiti dalla Spagna (-43%) e dalla Germania (-36%). Le strade d’Europa più sicure rimangono, comunque, quelle di Svezia, Olanda e Gran Bretagna dove i morti a causa di incidenti stradali sono solo cinquanta per ogni milione di abitanti.

Le cause: i giovani e l’uso di alcol e droghe

Come è stato già riferito, il numero delle vittime rimane alto; si tratta di una vera e propria emergenza, per la quale è importante trovare una soluzione al più presto. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce i traumi subiti sulla strada come la prima causa di morte sotto i 40 anni nei paesi industrializzati, tra cui il nostro Paese. In uno degli ultimi week-end, periodo in cui solitamente si riscontra la maggior quantità di incidenti stradali, in Italia sono stati contati ventuno morti, dei quali dieci non superavano i trent’anni di età. Ogni anno, i disastri sulle strade italiane provocano mediamente circa ottomila decessi e centosettanta ricoveri ospedalieri. La fascia più colpita è proprio quella tra i venticinque e i trentaquattro anni d’età. Il 30% degli incidenti stradali mortali è derivato dalla perdita di controllo del veicolo da parte del conducente, spesso in stato di ebbrezza. E’ importante comprendere che la soluzione al problema della sicurezza stradale non è data solo dalla messa in sicurezza delle nostre strade, molte delle quali realmente in cattivo stato, ma bisogna soprattutto focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica su questi tragici episodi e fornire un’adeguata educazione alla guida. Se quindi si rispettassero quelle che sono considerate regole elementari e forse anche banali, come mantenere la velocità entro i limiti imposti, non mettersi alla guida se sotto l’effetto dell’alcol o di sostanze stupefacenti, dare le dovute precedenze, i morti sarebbero certamente molto meno.

Alcune possibili soluzioni e l’impegno dell’Onu

Di fronte a dati che ammettono l’esistenza di un problema assolutamente non trascurabile, sono nate numerose campagne di prevenzione e sensibilizzazione: video che illustrano le conseguenze di un incidente stradale, personaggi famosi che consigliano la guida sicura e indicano l’importanza di una maggior presa di coscienza sul problema, perfino gruppi creati appositamente su Internet, presso il social network Facebook, che raccolgono membri e spediscono prontamente, tramite posta elettronica, dati e informazioni riguardanti la sicurezza stradale. L’obiettivo principale è promuovere la salute e la consapevolezza nei contesti dei divertimenti notturni e di aggregazione giovanile. Anche lo Stato italiano si è opportunamente mobilitato per diminuire il rischio di tragedie sulle strade, attivando dispositivi di prevenzione e di vigilanza e impiegando, in totale, 37.363 pattuglie di polizia stradale e carabinieri, un numero da non svalutare. Sono stati, inoltre, più di tredici mila i conducenti controllati con etilometri per verificarne le condizioni psico-fisiche durante la guida, più di trentadue mila i punti detratti dalle patenti e circa duemila le patenti di guida e le carte di circolazione ritirate.

Ed è proprio per ridurre il tragico costo delle morti e delle lesioni sulle strade di tutto il mondo, che l’Onu ha organizzato a Mosca per il prossimo 16 novembre una conferenza ministeriale mondiale, che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite definisce “un’occasione storica per migliorare la salute pubblica a livello globale”. Uno degli obiettivi di questo incontro sarà creare una sorta di alto commissariato con il compito di acquisire informazioni dettagliate e di realizzare un elenco di pratiche da suggerire a tutti gli Stati, cercando, così, una soluzione condivisa che valga per tutti. Si tratta, in conclusione, di un evento di estrema importanza, che secondo l’Onu rappresenterà per tutto la Terra “un’opportunità per ricordare milioni di persone che sono rimaste uccise in incidenti stradali ... per mostrare solidarietà nei confronti di coloro che vivono con disabilità o con lesioni dovute ad incidenti stradali; e per richiamare l’attenzione ad un maggior sostegno per i familiari delle vittime che devono sopravvivere con il dolore; che sono alla ricerca di capire le cause e i motivi della morte del proprio caro, che chiedono giustizia e assunzione di responsabilità da parte di coloro che ne sono i responsabili”.

Luigi Tuccillo


martedì 10 novembre 2009

Ho dipinto un paradiso


Ho dipinto un paradiso
Lì ho posto te mia Euridice

Mai strappata all’Ade

del mio cuore.

Sfumato e rarefatto il volto

di mille baci ancora
tinto
tu mondi, o driade,
immersa in un Lete

d’affanno e distacco e

non ti curi che l’acque
si velano di trasporto e passione,
non ti curi che l’acque
si macchiano di tua dannazione.



(L.Tuccillo)


lunedì 9 novembre 2009

A Natuzza Evolo



E’ in quegli occhi afflitti

che accogliesti la Vergine,

nel sussulto che ancora oggi

di te fa parlare, Natuzza,

spoglia d’agi e di mezzi,

tutta pura.


Non t’era greve il sangue,

o Soglia aperta al Cristo,

per i chiodi e il divin Legno

sulle membra fiacche

e d’acerba vecchiezza.


Ed in quei cenni sobri

agreste eletta madre

anch’io vedo la Luce

che balena nel tuo seno.


Beata. Donna. Amica.

Sei morta agli occhi

che Iddio chiude al Cielo,

ma la pace ormai ti colma

e nel sonno ci guardi, Santa.


(L.Tuccillo)