sabato 26 dicembre 2009

I SENTIMENTI LEGATI ALLA SERA DA DANTE A QUASIMODO


La sera è uno dei temi più affrontati da sempre da letterati e non. Essa rievoca sentimenti di pace, tranquillità e viene spesso contrapposta alla frenesia del giorno, durante il quale l’uomo è preso da svariati problemi e affanni. Già Dante, in piena età medievale, nel VIII canto del Purgatorio ne parla, definendola “l'ora che volge il disio / ai navicanti e 'ntenerisce il core / lo dì c' han detto ai dolci amici addio”. Per il sommo poeta, la sera è il momento in cui l’uomo volge il proprio pensiero agli affetti, e ne approfitta per riposarsi dalle sue attività, rivolgendo la mente a ciò che gli sta più a cuore; è infatti l’ora in cui chi naviga, ma anche chiunque si trova lontano dalla propria terra e dai propri cari, desidera il ritorno a casa e ciò provoca sentimenti di nostalgia e tristezza. Durante gli ultimi anni del XVIII secolo, durante i quali in Europa si diffonde il pensiero neoclassico, nonché quello, diametralmente opposto, del Romanticismo, la concezione della sera si arricchisce di nuovi significati. Nel sonetto “Alla sera” di Ugo Foscolo, che nella sua vita letteraria subisce influenze neoclassiche e specialmente preromantiche, la sera è presentata come immagine della “fatal quiete” ed è definita “nulla eterno”, con un chiaro riferimento alla morte. Non bisogna, però, concludere affrettatamente che, per Foscolo, la sera rappresenti un elemento negativo della realtà, per il fatto che l’autore l’accosti alla figura della morte. Continuando con la lettura del sonetto, si apprende che questa “sempre scende invocata” e ad essa appartengono le “secrete vie” del cuore dell’autore: la sera è, quindi, in grado di giungere con dolcezza fino alle zone più nascoste del suo animo. Per Foscolo la morte non rappresenta il principio di una nuova vita spirituale, nella quale all’anima spetterà un premio o un castigo eterno. Secondo la visione materialistica della realtà che Foscolo assume, la morte è la conclusione di tutto e, di conseguenza, costituisce per l’uomo la fine dei dolori e delle preoccupazioni. Vi è quindi una vera e propria invocazione della sera, che riesce, oltretutto, a spegnere le passioni che attanagliano l’uomo, quegli istinti guerreschi che dominano il suo animo. E’ con Leopardi, massimo esponente italiano della letteratura del Romanticismo, che la concezione romantica della sera muta ulteriormente. Ne “La sera del dì di festa” ritiene la notte “dolce e chiara ... e senza vento”. E’ il momento della giornata durante il quale l’uomo è solito pensare al passato e, conseguentemente, all‘azione inarrestabile del tempo, che cancella il ricordo delle antiche civiltà: “Or dov’è il suono / Di que’ popoli antichi? Or dov’è il grido / De’ nostri avi famosi, e il grande impero / Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio / Che n’andò per la terra e l’oceano?”. L’essere umano riflette anche sugli effetti della fugacità del tempo nella propria vita. Da qui, anche in Leopardi, la sera porta alla meditazione sulla morte e sul ricordo degli uomini, destinato anch’esso a scomparire. Il tema della fugacità del tempo sarà ripreso anche da un famoso autore del Novecento, appartenente al movimento ermetico, Salvatore Quasimodo, in “Ed è subito sera”. Come egli spiega, ogni essere umano trascorre le sue giornate sulla terra, preso da molteplici impegni e attività, e non si accorge di come il tempo trascorra così velocemente da fare in modo che egli si ritrovi subito alla fine della giornata. In quest’opera è evidente come venga accentuato il pessimismo legato alla concezione della sera introdotto da Leopardi, circa due secoli prima. Innegabile, invece, è la presenza dell’assoluto silenzio e della pace che subentra al calare dell’oscurità. La gran parte degli autori parla della sera come portatrice di calma e di serenità, le quali non inducono alla spensieratezza e all’abbandono, ma al contrario, invogliano l’uomo alla meditazione e al ricordo dei momenti trascorsi. E’ ciò che traspare dai versi de “La mia sera” di Giovanni Pascoli. Ancora una volta, alla descrizione del giorno, tormentato da tempeste e scompigli (“Nel giorno, che lampi! Che scoppi!”) viene contrapposta la caratteristica calma della sera (“Che pace, la sera!”). Essa sopraggiunge per consentire il riposo dai tumulti, dall’ “aspra bufera” propri del giorno. Inoltre, in Pascoli, a differenza di Foscolo e Leopardi, la sera non richiama alla mente l’idea di morte ma, al contrario, rievoca l’infanzia e la fanciullezza dell’autore, come è chiaramente esposto negli ultimi versi della poesia, quando “sul far della sera”, al suono della campana, veniva invitato a dormire dalla madre, e le “voci di tenebra azzurra” gli ricordavano le dolci ninne nanne che gli venivano cantate. Ma la tranquillità e la quiete interessano non solo l’interiorità umana ma anche il paesaggio notturno, che appare come trasformato agli occhi dell’osservatore. Una chiara descrizione di questo è contenuta ne “La sera fiesolana” di Gabriele D’Annunzio. E’ come se i sensi vengano rafforzati: il fruscìo delle foglie, il suono che l’acqua corrente del fiume produce sono chiaramente udibili ed è possibile, inoltre, percepire l’odore del fieno nei campi. “La Luna ... par che innanzi a sé distenda un velo ove il nostro sogno si giace e par che la campagna già si sente da lei sommersa nel notturno gelo”; D’Annunzio descrive come la pioggia primaverile bagni i gelsi, gli olmi, le viti e altre piante, che sembrano giocare con l’aria che li circonda e raggiunga anche il grano non ancora maturo e gli ulivi che “fan di santità pallidi i clivi e sorridenti”, ossia rendono le colline argentee e vivaci. In ultima analisi, la sera si presenta come un elemento che da sempre è stato fonte di vari sentimenti nell’animo umano, dalla paura alla nostalgia, dalla rievocazione della morte al ricordo dei momenti giovanili, dalla pace e serenità all’amore verso i propri cari. Ciò dipende proprio dalle sue particolarità che inducono l’uomo a meditare sulla propria vita e sull’ambiente che lo circonda, nonché a distrarsi dalle vicende che lo coinvolgono durante il giorno, operando, così, una sorta di distacco dalla realtà quotidiana, che lo porta a immergersi totalmente nella meditazione e a ritrovarsi in un mondo incantato e affascinante.


Luigi Tuccillo